In primavera, se si ha l'accortezza di visitare la palude rispettando il silenzio, è possibile osservare molte specie di uccelli. La Palude di  Colfiorito, infatti, è inserita nella  Convenzione Ramsar che ne sottolinea  l'importanza internazionale, soprattutto come habitat  degli uccelli acquatici

Tarabuso

Falco di palude

Germano reale

Cormorano

Rondine

Svasso

 

 

LA PALUDE: VEGETAZIONE E FLORA
Il paesaggio vegetale che si può osservare nella Palude di Colfiorito e nel territorio circostante del Parco è molto eterogeneo e i molteplici studi hanno dimostrato che molte delle fitocenosi presenti hanno un elevato valore biologico-naturalistico.   Grazie anche allo studio dei pollini fossili, inoltre, si è visto che nel corso dei millenni l’aspetto del paesaggio vegetale ha subito col cambiamento del clima delle profonde modificazioni: 10000 anni fa infatti la zona degli Altipiani era ricoperta prevalentemente da boschi formati da pino.

E’ stata studiata anche la zona della torbiera, unico esempio in Umbria del suo genere, compromessa negli anni Ottanta poi da interventi antropici.
La zona della Palude è caratterizzata da raggruppamenti vegetali che dipendono dalla profondità e dalla permanenza dell’acqua e per questo sono disposti a fasce concentriche.

Dove l’acqua è sempre presente troviamo le IDROFITE che possono essere natanti o sommerse. Tra queste riveste un ruolo particolarmente importante la ninfea bianca (ninphaea alba) i cui meravigliosi fiori bianchi si possono osservare a partire dalla primavera quando le foglie di colore rossastro cominciano a diventare verdi col tempo. Importanti anche le brasche d’acqua (Potamogeton pusillus), il millefoglio d’acqua (Miriophillum spicatum), e l’erba vescica (Utricularia vulgaris), pianta carnivora dotata di piccoli fiori gialli, capace grazie a delle aperture a valvola, di catturare piccolissimi insetti, importante fonte di azoto per la pianta.

La vegetazione elofitica si trova soprattutto nella parte esterna dello specchio d’acqua della palude: è formata prevalentemente dalla cannuccia di palude (Phragmites australis) che con i suoi 59 ettari circa   ne determina il paesaggio, dalla scagliola palustre (Typhoides arundinacea) e dalla lisca palustre (Schoenoplectus lacustris). Queste si sviluppano dove il terreno è ricoperto d’acqua   dall’autunno all’inizio dell’estate e rimane fangoso anche durante l’estate.  
Intorno alla Palude dove l’acqua copre il terreno solo per pochi centimetri, dominano i carici (Carex gracilis, Carex elata e Carex riparia) e si sviluppano ranuncoli delle canne, giaggiolo acquatico e giunco fiorito.

LA CANNA DI PALUDE (Phragmites australis)
La canna palustre è una pianta erbacea rizomatosa che appartiene alle Poaceae. Questa pianta è una specie elofita, visto che la radice e la parte basale sono sommersi. E’ una pianta tipica della zona palustre delle aree umide ed è cosmopolita, infatti, si trova in tutti i continenti tranne che in Antartide. Nella Palude di Colfiorito rappresenta un popolamento pressoché monospecifico; è caratterizzata da un’infiorescenza  a pannocchia, con spighe sfumate di violetto e foglie di color verde glauco; la pianta raggiunge i 2-3 metri di altezza ma può arrivare fino a 6 metri.   La sopravvivenza delle cannucce dipende per lo più dalle loro strutture rizomatose, ma anche dalla elevata tolleranza alle condizioni ambientali, alla salinità, alla competizione con altri vegetali. La cannuccia riprende il suo sviluppo finito l’inverno e, fino all’arrivo del gelo, rimane verde. I fitti apparati radicali e la densità dei fusti la rendono molto competitiva. Per evitare l’invecchiamento dei canneti e a lungo termine l’interramento della Palude è necessario un adeguato controllo della canna palustre. Questa specie è infatti molto aggressiva, a volte infestante e difficile da rimuovere. A tale scopo nel Parco di Colfiorito sono previsti interventi a basso impatto ambientale quali lo sfalcio e la rimozione delle piante morte.

BIODIVERSITA’ FAUNISTICA
La ricchezza della comunità faunistica dipende dalla diversità ambientale della zona nota in particolare per gli uccelli sia stanziali sia migratori. Da numerosi studi, infatti, si è visto che ci sono oltre 100 specie di uccelli nidificanti e/o svernanti e alcuni considerate rare; è stato inoltre visto che la Palude è un’importante punto di sosta nei periodi di migrazione autunnale e primaverile e l’uso della tecnica dell’inanellamento ha permesso di avere molte notizie sulla migrazione delle varie specie.   

Tra gli uccelli, particolarmente importante è il tarabuso (Botaurus stellaris), specie parzialmente sedentaria, un airone molto raro in Europa Occidentale che abita e nidifica nello Scirpeto e nel Canneto, dove pone il nido al livello dell’acqua. I canneti però non possono essere troppo giovani o troppo fitti e questo potrebbe essere uno dei motivi della sua riduzione negli ultimi anni insieme all’inquinamento da mercurio, PCB e pesticidi e il disturbo antropico soprattutto durante il periodo riproduttivo. 

Il tarabuso, ha la caratteristica che in condizioni di pericolo distende il collo e tiene il becco in posizione verticale rimanendo immobile o ondeggia lentamente mimetizzandosi tra le cannucce sia per il movimento sia per il colore; soffre particolarmente nei periodi di siccità e quando le temperature sono troppo basse. E’ poligamo e ogni maschio sceglie più di una femmina con cui accoppiarsi nell’ambiente in cui vive. Si nutre principalmente di piccoli pesci, anfibi e invertebrati acquatici. Il suo canto simile a un “muggito” si può sentire dalla fine dell’inverno fino all’inizio dell’estate. 

La popolazione di tarabuso presente nella Palude di Colfiorito, unica stabile in Umbria, è importante su tutto il territorio nazionale. Il lunghissimo elenco di specie presenti comprende, tra gli altri, anche uccelli sedentari come la Folaga (Fulica Atra), il tuffetto (Tachybaptus ruficolliss) e il germano reale (Anas platyrhyncos), mentre tra i migratori ricordiamo l’airone rosso (Ardea purpurea), l’alzavola (Anas crecca), il tarabusino (Ixobrycus minutus) e migratrice nidificante per eccellenza la Rondine (Hirundo rustica), insettivoro sempre più raro che utilizza il canneto della Palude di Colfiorito come dormitorio, tra quelli italiani uno dei più grandi di questa specie. Comuni sono anche la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), il porciglione (Rallus aquaticus), l’airone cinerino (Ardea cinerea), il basettino (Panurus biarmicus) e molti altri.

Meno conosciuta è la fauna ittica presente nella Palude di Colfiorito, importante per la sopravvivenza degli ardeidi. Comune è la tinca (Tinca tinca), la carpa (Cyprinus Carpio) e specie alloctone di provenienza orientale come il carassio (Carassius carassius) e il carassio dorato (Carassius auratus).
Tra i piccoli Vertebrati troviamo Rane, Raganelle, Tritoni, Ofidi, mentre tra gli Invertebrati Coleotteri, Farfalle, Libellule e Tricotteri. Oltre agli animali legati all’acqua però, interessante è anche la presenza di animali come il pettirosso, l’istrice, la volpe, il cinghiale, il tasso, la donnola…
Importante è anche la biodiversità della flora dei vegetali microscopici tra cui possiamo ricordare l’Euglena sanguinea e le Diatomee.

L’Euglena sanguinea è un’alga unicellulare che ha determinato nell’estate del 2002 il fenomeno dell’arrossamento delle acque del “Fagiolaro” che si trova nella zona più orientale della Palude di Colfiorito. Nell’acqua piovana che si è accumulata dopo il prosciugamento delle acque del Fagiolaro a seguito di un lungo periodo di siccità, insieme ad un’alta temperatura, alle sostanze organiche disciolte nell’acqua e alla luce solare, si è avuta una proliferazione delle alghe di Euglena Sanguinea i cui pigmenti di colore sanguigno presenti nella cellula, hanno determinato la colorazione delle acque della Palude.

LE RONDINI

La Palude di COLFIORITO rappresenta insieme al Lago di Lesina e D’Aunia Risi in Puglia, Val Campotto e Valle Santa nel ferrarese, un sito fondamentale come area di sosta nel periodo migratorio sia per le rondini italiane che per quelle centro europee. Agli inizi di settembre, le Rondini, prima specie di cui attraverso l’inanellamento si sono studiate le migrazioni fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo grazie ad un nobile francese, diventano più sociali e si raccolgono in decine di migliaia in dormitori comuni. Il loro sito preferito è il canneto (utilizzato come dormitorio comune anche quando sono in Africa) dove le Rondini si appoggiano all’attaccatura delle foglie delle canne. La diminuzione delle zone umide a seguito di interventi umani, spiega l’importanza della zona della Palude di Colfiorito per questa specie migratoria.


La Rondine è un passeriforme di piccole dimensioni; ali, dorso e petto sono neri con riflessi blu-metallici, il ventre è bianco e a volte presenta una leggera sfumatura marrone; la coda negli adulti è lunga e biforcuta, invece il becco e le zampe sono neri. I piccoli si riconoscono per l’apertura delle ali che è più piccola, la colorazione in generale è meno iridescente ed opaca e intorno al becco hanno delle zone giallastre in rialzo tipici dei primi periodi di vita. Il loro canto produce in condizioni normali un suono prolungato, mentre produce in condizioni di pericolo una singola nota o doppia, ripetuta più volte.


Il tipico nido delle rondini è a forma di coppa, poco largo e di bassa profondità; si può trovare soprattutto vicino alle stalle, ai fienili, sotto i porticati in campagna, in genere ad altezze inferiori a 4,5 metri (la maggior parte nidifica sotto i mille metri di altitudine anche se sono stati individuati nidi di rondini a 1850 metri). Le tipiche cinque uova, di forma ovale e di colore bianco perla con piccolissime chiazze marroni, sono covate dalla femmina per poco più di due settimane e sono disposte su un cuscinetto di piume chiamato piumino. I piccoli sono accuditi dalla madre finché non lasciano il nido dopo 20-24 giorni dalla nascita, ma continuano a essere nutriti da entrambi i genitori per altri 20-25 giorni, dopo di che diventano indipendenti.


La Rondine con il suo peso di 25 grammi, l’apertura alare di 30 cm e mangiando in continuazione durante il volo (si nutrono di insetti alati appartenenti a diversi ordini, in particolare Ditteri cioè mosche e zanzare) è capace di volare migliaia di chilometri per raggiungere la sua destinazione verso l’Africa; i giovani nel loro primo volo seguono i genitori ma anche se si perdessero sarebbero capaci di mantenere la rotta grazie al loro codice genetico.
I giovani sono molto legati al luogo di nascita dell’anno precedente e quando sono pronti a riprodursi cercano i loro vecchi nidi ma non li utilizzano e ne costruiscono altri vicino a quello in cui sono nati.

La palude: flora e vegetazione
Principali fonti
Flora vascolare e fitocenosi nel Parco regionale di Colfiorito di Ettore Orsomando, Federico Maria Tardella e Sandro Ballelli
Gli Altipiani di Colfiorito Appennino Umbro-Marchigiano Storia e ambiente Coordinatore Ettore Orsomando Comunità montana Monte Subasio Ente Parco Regionale di Colfiorito.
Regione Umbria Servizio Sistemi naturalistici e zootecnia_Sezione aree protette e progettazione integrata_ Aspetti vegetazionali, botanici e forestali. Testi di M. Frattegiani, F. Maneli, V. Ferri, M. Pedrazzoli

Biodiversità faunistica
Principali fonti:
La Montagna Folignate di Bettoni Fabio
Opuscolo Parco di Colfiorito Comune di Foligno
La palude di Colfiorito e la zona ecotonale di  E. Orsomando e G. Cagnucci.
I parchi dell' Umbria- Maurizio Biancarelli
Gli Altipiani di Colfiorito Appennino Umbro-Marchigiano- Storia e ambiente- Coordinatore Ettore Orsomando--Comunità Montana Monte Subasio-Ente Parco Regionale di Colfiorito

Le rondini
Principali fonti
Progetto Rondini- Alfiero Pepponi
La palude: flora e vegetazione

 

Le diatomee sono alghe brune unicellulari, eucariotiche e autotrofe per la presenza di clorofilla a e di altri pigmenti. Hanno dimensioni di pochi micron; risalgono a circa 140 milioni di anni fa e possono vivere isolate oppure in colonie popolando tutti gli ambienti: sono infatti state ritrovate anche nei geyser, nelle esplosioni vulcaniche, nelle pozzanghere, negli ambienti acquatici durante tutto l’anno presenti con un elevato numero di specie. Importanti abitanti della Palude di Colfiorito dove ne sono state trovate almeno 100 specie, fanno parte del fitoplancton e del fitobenthos e sono alla base della catena alimentare. Le diatomee sono indicatori biologici di qualità delle acque, tutte le specie hanno dei limiti di tolleranza rispetto alle condizioni ambientali in cui vivono, come concentrazione di nutrienti, inquinamento organico e livello di acidità.
Struttura: La diatomea è costituita da un guscio siliceo chiamato FRUSTULO formato da due valve (placche valvari) che si incastrano come una scatola con il suo coperchio, una superiore EPIVALVA e una inferiore IPOVALVA; sulla loro superficie ci sono delle ornamentazioni di vario tipo chiamate strie. I bordi delle valve poi continuano a formare le bande connettivali. In base alla forma e alla disposizione delle ornamentazioni distinguiamo Diatomee Centriche (ordine Centrales) a forma rotonda, quadrata, poligonale e Diatomee pennate bentoniche (ordine Pennales) a forma allungata, rettangolare, ovale. Le pennales sono caratterizzate dalla presenza del RAFE, una fenditura longitudinale mediana complessa alla cui estremità sono presenti due ispessimenti chiamati NODULI POLARI mentre al centro è presente il NODULO CENTRALE. Se il rafe non è presente la diatomea si dice ARAFIDEA, se è presente solo su una valva si dice MONORAFIDEA, se è presente su entrambe si dice BIRAFIDEA.  All’interno la diatomea contiene un citoplasma oleoso che la aiuta a stare a galla. Quando la diatomea muore, la parte silicea si conserva e si accumula formando la diatomite o farina fossile, oggi utilizzata in molti settori per esempio nella costruzione di mattoni, nei pannelli solari, nelle lettiere dei gatti, nei circuiti elettronici.

Diatomee:
F0NTI:
Opuscolo Arpa Umbria. La direttiva quadro sulle acque e il monitoraggio dei corsi d’acqua
Sito Internet: www.isprambiente.gov.it

IL “MULINACCIO” DELLA PALUDE DI COLFIORITO
Nel 1652 o 1654 fu realizzato il mulino per la macinazione del grano, sfruttando il salto delle acque dalla palude all’inghiottitoio. Il mulino fu costruito dalla famiglia Jacobilli di Foligno e funzionò fino agli anni 40 del secolo scorso. Da qui “l’ inghiottitoio del Mulinaccio”.
L’inghiottitoio del Mulinaccio, ai piedi del monte Orve, ha una larghezza che va dai 10 ai 20 metri e una profondità di circa 5 metri e smaltisce 20 litri di acqua al minuto.
La casa del mollaro (molitore) è realizzata con pietra calcarea dell’Appennino centrale (rosa del Subasio). E’ stata ristrutturata dopo il terremoto del 1997 nel rispetto della volumetria e dell’uso dei materiali.  Il “Mulinaccio”  rappresenta tutt’ora un punto di riferimento per gli abitanti di Colfiorito.

TRA LEGGENDA E REALTA’: La figlia del “MOLLARO” (o mugnaio)
Silvia era una ragazza bellissima che indossava lunghe “sottane” colorate. Tutti l’ammiravano non solo per la sua bellezza, ma anche per la vivacità, l’allegria, la grazia e la gentilezza con cui si rivolgeva alle persone che andavano al Mulino a macinare il grano per fare il pane.

Tanti ragazzi corteggiavano Silvia, ma lei aveva scelto Vincenzo ed erano molto innamorati. Poi arrivò un inverno con tanta neve e la primavera con molta pioggia. Al Mulino arrivava troppa acqua e per questo la ruota girava velocissima. Un giorno, mentre Silvia passava lì accanto, la gonna si impigliò tra gli ingranaggi della ruota che la trascinò con sé nell’acqua. Fu così che finì la sua vita.

La sua storia ancor oggi si racconta e grazie a questo Silvia continua a vivere.
Il fidanzato di Silvia, la figlia del Mollaro, per dimenticare la tragedia, partì per l’America. La casa del Mollaro da allora viene chiamata “Mulinaccio” in senso dispregiativo per narrare la sciagura che l’ha interessata.

Nel 1917 la famiglia Cinti abbandonò il mulino a causa dell’ incidente. Negli anni 40 del 1900 venne definitivamente abbandonato.

casa dellantico mollaro o mugnaio ristrutturata

disegno del mulinaccio e inghiottitoio della mostra al Museo naturalistico di Colfiorito

dal materiale della mostra sul Molinaccio allestita al Museo Naturalistico di Colfiorito