Gazzetta di Foligno, 27 aprile 1997 n°16 Luigi Mattioli.

In direzione nord-orientale rispetto al centro urbano di Foligno si sviluppa la valle del fiume Menotre, anticamente Guesia. Si tratta di un piccolo altopiano che si distende per una decina di chilometri. La zona sottostante, quella al disotto dell'abitato di Pale, è caratterizzata dal villaggio di Belfiore. I due centri sono collegati mediane un salto di duecento metri, dal quale, il Menotre, lambendo il Sasso di Pale, precipita, dando origine ad una serie di cascatelle. Fu questa, in epoca Medievale, la zona che i signori di Uppello donarono ai monaci benedettini dell'abbazia di Sassovivo, e questi vi costruirono la chiesa di San Nicolò de Guesia, i mulini da olio e grano e le gualchiere per la lavorazione di panni e di carta che alimentarono con la forza idraulica generata dal fiume. In seguito i monaci attraverso successive donazioni e permute, si espansero dall’originario insediamento, fino a conseguire l'intero dominio della valle di Scopoli. Oggi non ci è possibile dire quanti fossero gli opifici posseduti dai monaci nè si può ipotizzare se inizialmente fossero concentrati solo nella località di Pale o dislocati lungo le rive del fiume. In un atto del 1229 è documentata per la prima volta l'esistenza di una gualchiera nella valle di Scopoli.

Di una gualchiera in Scopoli si parla anche in un lodo arbitrale del 1256. Questa è una pergamena ritrovata da Faloci Pulignani nell'Archivio dell'abbazia di Sassovivo che definisce una controversia insorta tra il monastero ed un certo Clarimbaldo di Ventura da Spoleto. Quest'ultimo aveva edificato sul fiume Menotre, "in valle Scopoli", una gualchiera che impediva il funzionamento di un'altra appartenente ai monaci. Clarimbaldo per sfruttare la forza idraulica a lui necessaria, aveva, con uno sbarramento, innalzato il livello del fiume, danneggiando così la gualchiera dei monaci posta più a valle. Da qui la controversia. La soluzione fu rimessa all'arbitrato di don Compagnuccio, che le parti scelsero amichevolmente. Si interpellò anche un dottor di legge, Giacomo di Agura da Spoleto, che pronunciò la sentenza favorevole ai monaci, ordinando di rimettere le cose in pristino e condannando Clarimbaldo a demolire ogni cosa. E' certo così che nella seconda metà del XIII secolo i monaci possedevano almeno due gualchiere. Probabilmente in questo periodo, l'attività produttiva esercitata è quella della lavorazione dei panni, anche se Faloci Pulignani nella sua monografia "Le antiche cartiere di Foligno" del 1909, tendendo a stabilire un primato cronologico della carta di Foligno su quella di Fabriano, affermò che si trattava di gualchiere per la produzione della carta. Faloci stesso, in presenza di un atto di affitto di una valcheria seupannifaria in Pale, stipulato dai monaci nel 1323, riconobbe il pericolo di una facile demolizione del suo ragionamento. Si deve ai monaci la conversione in opifici da carta delle già esistenti gualchiere predisposte alla lavorazione dei panni, ed è presumibile che questo avvenne nei primi decenni del XIV secolo. Di questo è certo Bruno Marinelli, autore di una ricerca pubblicata recentemente nel libro "Carta e cartiere nelle Marche e nell'Umbria dalle manifatture medievali all'industrializzazione", alla quale hanno collaborato anche Gabriele Metelli e Fabio Bettoni . Per il lungo periodo di tempo che i intercorre tra il 1332 ed i11371, non si hanno notizie riguardanti l'attività cartaria in Pale, ma trattandosi di un'arte che a Fabriano ha oramai raggiunto uno sviluppo notevole, e proprio in questo periodo si registra una diaspora di maestri cartai fabrianesi nell'Italia centro-settentrionale, è lecito supporre che anche Foligno, già valido supporto mercantile della produzione fabrianese, abbia trovato il sostegno tecnico da parte di uomini e cose provenienti dalla città marchigiana. Nella seconda metà del XIV secolo, e più precisamente nell'ultimo quarto del secolo, i monaci di Sassovivo iniziano una fase di conversione patrimoniale che li porta a concentrare nel settore agricolo maggiori investimenti considerati più produttivi, ed a liberarsi, con una serie di vendite, dei cespiti meno remunerativi, tra questi anche le strutture della manifattura cartaria. Queste vengono acquistate da Corradino di Cola Rainaldi, già proprietario di altri fondi limitrofi in Pale, che con questa operazione punta al rilancio dell'attività produttiva delle cartiere. Ma non vi fu nessun rilancio riguardante l'attività cartaria. Nel 1377 la famiglia Brancaleoni, alla quale apparteneva Corradino, perenne avversaria dei Trinci, si pose alla guida di una sommossa popolare che culminò con l'uccisione di Trincia Trinci e, dopo aver dominato per breve tempo vennero a loro volta spodestati e cacciati dalla città. Era uso dei Trinci quello di ricorrere sistematicamente alla facile arma della confisca dei beni nei confronti dei nemici politici, e questi, tornati, confiscarono ed esiliarono da Foligno quelli che l'avevano contrariati. Così Corradino perse le sue cartiere. Nell'intervallo di tempo che va tra il 1372 ed il 1423, si ebbe così una interruzione nella fabbricazione della carta, durante la quale i Trinci, o i mercanti folignati, fecero ricorso alla carta di Fabriano. Furono gli stessi Trinci a cercare di porre rimedio alla stasi produttiva. L'arrivo di Lodovico di Ambrogio di Bonaventura a Pale nel 1417 chiamato dai signori di Foligno ne è un segno. Lodovico è un facoltoso mercante fabrianese che commercia prevalentemente in carta. Lasciata Fabriano dopo l'improvviso crollo finanziario della sua impresa passa al servizio di Braccio Fortebraccio di Montone che, vista la stretta amicizia con i Trinci, lo destina al rilancio delle cartiere di Pale.

Anche questo tentativo, in conseguenza alla prematura scomparsa di Ludovico fallì. La rilevazione delle cartiere di alcuni cittadini, sicuramente associati, come risulta dall'atto di vendita del 13 agosto 1429, lascia intendere ad un rinnovato interesse ed impegno nel settore a partire da questa data. Il 29 aprile 1430, Corrado Trinci grazia un fuoriuscito, Giovanni Petrutti, che abita da 17 anni con la famiglia a Fabriano, mentre il 31 maggio accorda ad un altro confinato Pietro Scarfagnini di poter tornare in città. Contemporaneamente è certa la presenza in Pale di cartai fabrianesi. E' in questo periodo o negli anni immediatamente successivi che la manifattura cartaria locale entra in una fase di decisivo sviluppo, tanto da costituire secondo Faloci Pulignani, una delle ragioni della venuta a Foligno di Giovanni Numeister, chierico di Magonza, che insieme ad altri suoi compagni, nel 1470, aprì in Foligno una tipografia, spinto dalla facilità di potersi rifornire di carta eccellente ed a basso costo. Si racconta in proposito che fu Emiliano Orfini, un orefice zecchiere del papa, e socio al Numeister in quell’industria, a condurre il tedesco a Pale per scegliere la carta necessaria alla stampa della prima edizione della Divina Commedia, quella del 1472. Alle soglie dell'età Moderna l'attività cartaria locale in concomitanza con lo sviluppo dell'arte tipografica, sotto la spinta del ceto mercantile, lascia intravedere quelli che Giancarlo Castagnari ha definito i primi sintomi del protocapitalismo industriale. Le valcherie da carta, così come le altre attività manifatturiere, ubicate nell'area del castello di Pale e nel territorio circostante vanno espandendosi ulteriormente nel corso del Seicento e Settecento. Le caratteristiche tecniche degli impianti in questa epoca sono ancora quelle in uso nel Medioevo. La tecnologia è la stessa: canali, salti dell'acqua e ruote motrici. L'energia idraulica aziona dei martelli multipli che riducono gli stracci in pasta. Dopo la fase meccanica il lavoro è manuale. La pasta è trasferita in una tinozza, estratta dall'acqua con un setaccio e trasformata in foglio, quindi i fogli sono appesi ad asciugare. La mancata istituzione a Foligno di una efficiente corporazione dell'arte della carta genera nel 1563 una crisi alla quale i cartai di Pale cercano di porre rimedio chiedendo l'abolizione della gabella della carta. La questione non avrà mai una soluzione, ancora nel 1747 si auspicava la istituzione di una università di cartai. La manifattura della carta è ad una svolta: o si consolida o è destinata a soccombere. Si deve aumentare il capitale investito nell'impresa, potenziare gli impianti, incrementare la produzione, migliorare la qualità. Proprio in questi anni nel folignate si assiste ad uno straordinario fermento di iniziative, determinato dalla positiva congiuntura economica. La maggioranza degli investimenti ha per oggetto attività non agricole. Si diffonde così la forma associativa nell’esercizio di valchiere. Un soggetto porta il capitale, un altro il lavoro. Le famiglie di rango, scegliendo la forma associativa capitale-lavoro, investono cospicui capitali nel settore della carta. Tra le famiglie nobili che possiedono o risultano legate agli opifici per la produzione della carta si ricordano gli Jacobilli, gli Elisei, gli Unti, i Gregori, i Pierantoni, i Petesse, gli Innamorati, gli Alessandri, gli Orfini fino al 1810, i Gentili, i Roncalli nella seconda metà del Seicento. Tra i proprietari cartai non appartenenti al ceto nobiliare, una menzione spetta ai Sordini che, rappresentano l'esempio di attività produttiva più longeva che si conosca nel territorio folignate, esercitando per oltre quattro secoli, ed essendo oggi, l'omonima cartiera, l'unica superstite delle 17 presenti, tra Sette e Ottocento, nella Valle del Menotre. La manifattura della carta vive una fase di espansione anche nel corso della prima metà del settecento. In un documento dei 1774 si sottolinea "il buon nome e credito che sempre hanno avuto le carte di Foligno, non meno per tutto lo Stato pontificio che nel Regno di Napoli, et in altre piazze ancora fuori di Stato".

Nei decenni successivi questo settore inizierà un lento ma costante declino. Con la fine dell'antico regime, la situazione economica della nobiltà diviene precaria, la maggior parte delle famiglie patrizie scompaiono per essere sostituite da esponenti del ceto civile imprenditoriale emergente. Nei primi lustri dell'Ottocento, durante i l periodo napoleonico, non si intravedono segnali che possano far sperare in un rilancio della produzione delle cartiere. Qualcosa si muove negli anni Venti. Con l'iniziativa presa da Gioacchino Fedeli ed i fratelli Luigi e Domenico Monnaci che intendono impiantare una cartiera tradizionale a pile e mazzi e poi realizzare un opificio dotato di cilindri e macchine coniche all'olandese. Ma, tra il 1824 ed il 1826, i problemi tecnici e le difficoltà economiche incontrate, portano al fallimento l'iniziativa. Alla fine degli anni Trenta viene introdotta nella cartiera di Giovanni Battista Innamorati in Pale una innovazione tecnica che non è "fin qui in altra cartiera degli Stati ecclesiastici praticata" ed è tale da consentire la produzione di una carta "di particolare bellezza". Questo, probabilmente, funge da stimolo per altri operatori della zona. Tuttavia l'insieme dell'apparato cartiero locale sembra non essere di gran qualità tecnologica infatti, intorno al 1856, si riconosce che le fabbriche sono "stabilite con l'antico metodo di fabbricazione detto a mano ed a setaccio" e che, una volta introdotta nello Stato pontificio la lavorazione detta da macchina o a vapore, che limita la manutenzione e lo smaltimento, si sono chiuse aree di mercato un tempo aperte anche al continente americano. Secondo il parere di Giuseppe Bragazzi, storico locale del secolo scorso, la decadenza delle cartiere locali deriva dalla assenza "delle privilegiate macchine a vapore", e dunque dalla impossibilità di realizzare una produzione competitiva sul mercato, sia nazionale che estero. Nel 1872, la produzione locale non riesce a soddisfare nemmeno la domanda regionale. Nel corso degli anni la cartiera Sordini assorbirà buona parte dei restanti opifici di Pale. Questa è l'unica azienda capace di uno sviluppo. Nel 1903 la ditta costruì un grande stabilimento moderno dove installò un motore idraulico da 25 hp ed una caldaia a vapore per riscaldamento di 6 hp. Gli operai nel 1913 salirono da 29 a 37. Seppure depotenziata e in crisi, l'industria della carta mantiene ancora un peso fino alla fine degli anni Venti. Con gli anni Trenta restano attive solo due aziende. Oggi risulta attiva solo la azienda Sordini ma le ciminiere ancora presenti e i ruderi, rimangono a testimonianza di una secolare manifattura della carta nella valle del Menotre.