PROLOGO
Fiumi d’inchiostro si sono versati nel tempo per parlare di una delle vie universalmente celebri del nostro territorio nazionale: l’antica “Via Lauretana”. Con il presente lavoro non vogliamo avere certo la pretesa di emulare gli studi, gli scritti  e gli autori che, soprattutto negli ultimi decenni,  hanno ridato lustro ad una delle più importanti vie del pellegrinaggio cattolico; ciò che, invece, molto semplicemente con il nostro laboratorio abbiamo mirato a raggiungere è stato poter dar voce, in qualche modo, alla storia  che questa strada ancora ci narra e al suo popolo, quel popolo che per secoli l’ha percorsa per giungere da Roma a Loreto o viceversa, passando per Colfiorito. E l’abbiamo fatto, cercando di coinvolgere attivamente i ragazzi in questo percorso di conoscenza-esperienza-interazione con il loro territorio.
LA VIA LAURETANA
La Via Lauretana, si connota essenzialmente come una strada, con le sue funzioni primigenie o connesse di trasporto, transito di merci, collegamento. In questo senso non si può tacere della vocazione antichissima che il territorio dell’altopiano colfioritano ha svolto, in quanto snodo fondamentale di comunicazione  tra il versante tirrenico ed adriatico degli Appennini centrali della nostra penisola. Fin dalla Preistoria, come testimoniano i ritrovamenti archeologici in loco . Una vocazione di cerniera e di scambio, dunque, mai venuta meno, né nella fase legata alla presenza dell’antico popolo umbro dei Plestini, né  in quella della romanizzazione più avanzata, né tanto meno nel Medio Evo.
Facendo nostri i preziosi contributi storici di Don Mario Sensi , anche noi possiamo dire che “Il flusso di pellegrini lauretani più importante era quello che proveniva da Roma e, seguendo la Flaminia, toccava Terni ( nella chiesa di S.Pietro, degli agostiniani, si ha una delle prime rappresentazioni del simulacro venerato in Loreto, opera di un pittore folignate di inizio secolo XV) e giungeva a Spoleto. Qui si incontrava una prima deviazione che permetteva ai pellegrini, seguendo la Via della Spina, di giungere, tramite Verchiano, a Colfiorito, risparmiando una ventina di chilometri”  , un dato non da poco per chi viaggiava a piedi o a dorso di mulo.
Citando anche uno studio recentissimo, possiamo confermare, quindi, che l’antico tracciato della Via Lauretana, seguiva la cosiddetta “ via diritta”,  congiungendo Spoleto- Colfiorito- Camerino. Da qui, poi, per la “Via Beregna”, raggiungeva San Severino Marche e la Valle del Potenza, ma più tardi, quando ormai si viaggiava in carrozza, fu sostituito dalla “via nuova”, la quale si snodava lungo la Val di Chienti, toccando Tolentino e salendo a Macerata, da dove, attraverso Recanati, raggiungeva  finalmente Loreto.  
Tra Medio Evo ed età moderna, però, il flusso più importante di pellegrini, quello da Roma e per Roma, utilizzava la Via Flaminia, strada di collegamento tra Roma e Fano, fino a Foligno, vero nodo centrale delle vie del pellegrinaggio, perché i pellegrini dell’Italia centro-meridionale, volendo comprendere nel pellegrinaggio la visita alla Porziuncola di Assisi, in occasione  della Festa del Perdono, avevano riscoperto la Via Plestina.
Lo studioso folignate Fabio Bettoni , che cita don Mario Sensi e i fotopiani analizzati da Giulio Schmiedt , ribadisce che il più antico tracciato della strada che univa Foligno a Colfiorito in direzione Camerino, la via “Plestina” dell’età romana, probabilmente   aveva origine all’altezza del cosiddetto “Miglio di San Paolo”. Dopo San Paolo, si dirigeva a Vescia, penetrava nella conca di Belfiore, incontrava il vocabolo Carpineto, andava al ponte dell’Altolina e s’inerpicava lungo l’Altolina verso Pale. Giunta a Ponte S.Lucia, la strada proseguiva poi verso Scopoli, Leggiana, Casenove, Cifo, attraversava il valico di Colfiorito, quindi percorreva la stretta formata dall’attuale abitato del villaggio-strada di Colfiorito e infine giungeva alla Chiesa di Plestia. Arrivata a Ponte S. Lucia, la strada poteva anche lasciare il fondovalle e inerpicarsi per  Sostino, fino ai piani di Ricciano, toccando S.Matteo ( già S.Maria di Loreto),  dirigendosi infine sempre a Plestia alla volta di Loreto ( alternativa, questa, privilegiata a partire dal Quattrocento).
Sarà proprio a partire dal Quattrocento e per tutto il Cinquecento, in concomitanza con l’esplosione del “culto mariano” che aveva il suo perno proprio nella Basilica della Santa Casa di Loreto, che la via Plestina diventerà a tutti gli effetti la “Via Lauretana”, conoscendo con il flusso ininterrotto dei pellegrini nuovo impulso e rinnovata importanza. Nella seconda metà del Cinquecento (1577-1578/9) il governo pontificio sarà spinto a migliorarne l’assetto, rendendo la strada  principale del suo Stato carrozzabile e tagliando fuori l’erta di Cifo-Cupigliolo, in funzione anche del servizio della posta a cavalli che vi si svolgeva  ( con lo scopo non secondario di proteggere i pellegrini ) e che vi si svolgerà fino alla fine del Settecento. In età moderna, invece,  la via assurgerà al carattere di  vera e propria arteria nazionale, come dimostra nel 1811 l’ inclusione della Via Lauretana fra le trenta strade  di grande comunicazione interna, a seguito della sistemazione infrastrutturale stabilita dall’impero francese. Un carattere, questo,  mantenuto anche dal nuovo Stato unitario, mentre il nome “ Via Lauretana”, ancora in uso agli inizi del XX secolo, prenderà successivamente l’odierno appellativo di Strada Statale 77 della “Val di Chienti”.
Eppure, proprio in quanto Via Lauretana, questa strada non si può classificare riduttivamente come una via qualsiasi, dimenticandone l’aggettivazione che le dà un connotato di senso, oltreché di direzione. Diventata una delle vie di pellegrinaggio più frequentate e note dell’universo  cristiano ed oltre essa, infatti, non si connota soltanto come funzionale al traffico di semplici passeggeri, bensì al cammino dei pellegrini.
IL PELLEGRINAGGIO
Il pellegrinaggio, inteso come viaggio verso una meta sacra, appartiene al patrimonio identitario e cultuale di tante religioni; per citarne solo alcune: l’Induismo, l’Ebraismo , l’Islam e ovviamente il Cristianesimo… Volendoci soffermare su quest’ultimo, occorre  innanzitutto ricordare come  fin dai primi secoli il pellegrinaggio si sia andato strutturando quale forma privilegiata di culto da rendere a Dio in un “luogo”, reso sacro dalla epifania del divino ( in particolare i luoghi della vita terrena di Gesù), dalla testimonianza di un martire, di un apostolo o di un santo e dalla presenza delle sue reliquie. In questo senso una delle mete più importanti del pellegrinaggio cristiano, insieme a Roma e Santiago de Compostela, è sempre stata ovviamente la “Terra Santa”. Sarà così a partire dall’età costantiniana, che favorisce e sviluppa la forma di venerazione delle tre basiliche per eccellenza: della Resurrezione e Calvario, del Monte degli Olivi a Gerusalemme e della Natività a Betlemme, ed  almeno fino agli albori del Medio Evo, quando la Terra Santa verrà soppiantata, o meglio incarnata da Roma, la nuova Gerusalemme, soprattutto in seguito all’espansione islamica che renderà ancor più pericoloso intraprendere il pellegrinaggio in Oriente. Spostandosi ad Occidente il pellegrinaggio, però, non cambiò solo forma, ma anche sostanza, arricchendosi di significati ulteriori. Ora non è più l’ evento unico della vita, né  pone l’accento soltanto sulla  dimensione penitenziale, essenzialmente fisica e materiale: la fatica o la pericolosità e dispendiosità del viaggio, che spesso spingeva il pellegrino a far testamento prima di partire,  e che tanto più  gli richiedeva un investimento totale tanto più gli garantiva il suo valore purgante-espiatorio, o il vedere e toccare il luogo sacro, mentre la permanenza nel “dove sacro” in genere era breve.
Roma si connota come “la città santuario”, grazie anche alle numerose reliquie portate dalla Terra Santa ( in primis reliquie della croce e della natività), che arricchiscono le basiliche di Santa Maria Maggiore, Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano e soprattutto San Pietro. Proprio San Pietro e il carisma petrino diventeranno la nuova dimensione fondante del pellegrinaggio,  perché ci si reca a Roma, oltre che per visitare la tomba dell’ apostolo Pietro  (“ad limina Petri”),  soprattutto per incontrare il suo successore: il Papa, “Vicarius Christi” (“visita ad limina apostolorum”).  Un binomio, questo, ancor più rinsaldato con l’indizione del Primo Giubileo nel 1300 da parte di papa Bonifacio VIII, che ha suscitato  e istituzionalizzato il pellegrinaggio verso l’Urbe, con numeri, fatte le dovute proporzioni, mai più eguagliati nella storia ( alcuni cronisti parlano  di una presenza media giornaliera che si aggirava sulle 200000 persone a fronte di una popolazione di poco più di 30000 abitanti). Il pellegrinaggio giubilare ribadiva così il perdono dei peccati quale frutto principale del pellegrinaggio stesso, definito con l’indulgenza concessa dalla Chiesa, ma lo interiorizzava anche, prediligendo alla dimensione del viaggio esteriore, quella di un cammino più consapevole di conversione e rinnovamento esistenziale, frutto della partecipazione alla vita  liturgica delle basiliche apostoliche e alla penitenza sacramentale.
Ad unire perfettamente le due dimensioni del viaggio, come cammino interiore ed esteriore dell’uomo in un’unica esperienza esistenziale, anzi, nell’ “Esperienza” per antonomasia, sarà un’altra delle principali mete del pellegrinaggio cristiano: il cammino di Santiago de Compostela, il percorso a piedi per visitare la tomba dell’apostolo Giacomo.
 Il sepolcro del primo degli apostoli martirizzato verrà scoperto nell’830, ma “il Cammino di Santiago”  prenderà piede soprattutto a partire dall’XI sec., come conseguenza della Reconquista cristiana della Penisola Iberica ed anche come simbolo della stessa, stimolando la nascita della “città dell’apostolo” attorno alla straordinaria cattedrale che ne custodisce le spoglie, ma anche l’organizzazione del pellegrinaggio in quanto tale, che con alti e bassi è perdurato fino ai nostri giorni. Nascono così corporazioni e confraternite in funzione dell’accoglienza dei pellegrini, né manca una  vera e propria “guida del pellegrino” nel libro V del “Liber Sancti Jacobi”, dove si annotano dettagliatamente itinerari e tappe, pericoli e possibilità del viaggio e vi si descrive la condizione delle strade e la città di Santiago. Si costruiscono, inoltre, cappelle, chiese, alloggi, ospedali lungo tutto il Cammino, per rispondere ai  diversi problemi logistici, talora complessi, che l’afflusso continuo di pellegrini comportava. I pellegrini richiamavano, infatti, albergatori, mercanti, stallieri, ospedalieri, addetti ai servizi d’ordine che prendevano stabile dimora in quel luogo che esercitava su di loro una forte “attrazione demica”, ma insieme allo sviluppo dell’economia il pellegrinaggio favoriva lo sviluppo dell’arte e  di una cultura per la prima volta dal respiro europeo,  che nella fede cristiana fondava la sua comune appartenenza ed anche un’ autentica rinascita spirituale.
Un centramento essenziale, questo, che concepisce il pellegrinaggio quale vera esperienza di fede e che si focalizzerà ulteriormente  in epoca moderna ( sec. XVI-XVII), quando i pellegrinaggi cominceranno ad essere guidati da sacerdoti e chierici ed assumeranno una connotazione sempre più “mariana”. Nell’ atto di affidamento del viaggio dei singoli alla protezione della Vergine Maria (pellegrinaggio votivo), si chiedeva la sua intercessione, affinché il viaggio intrapreso potesse portare frutti duraturi di conversione. La scelta privilegiata di mete mariane da parte di interi popoli, attorno ai cosiddetti “santuari della nazione”,  serviva anche a  cementare il  senso collettivo di identità patriottica e di unità ( come citazione emblematica, basti menzionare qui il significato assunto da Jasna Góra per il popolo polacco).
I tre pellegrinaggi maggiori, così come le mete mariane, non verranno meno neanche nel “secolo dei lumi” o in epoca di piena secolarizzazione. Si ridurranno i numeri ed il raggio d’azione dei pellegrini, in lotta con le difficoltà oggettive spesso imposte dalle stesse autorità, ma non si potrà parlare mai di una vera e propria decadenza. Anzi, nel XIX-XX secolo sorgeranno nuovi santuari mariani, che in breve diventeranno veri poli di attrazione per i pellegrini. In primis Lourdes e successivamente Fatima, che daranno al pellegrinaggio stesso ancora una significanza  ulteriore rispetto al passato. Il pellegrinaggio ora rappresenta una risposta dal basso ad un’ iniziativa che viene essenzialmente dall’alto, dal momento che si tratta di mete riconosciute dalla Chiesa come luoghi di apparizioni mariane e che i pellegrini mirano ad impostare il pellegrinaggio, seguendo fedelmente le indicazioni che la Madonna stessa, attraverso i suoi testimoni, ha loro rivolto.  
Più recentemente il pellegrinaggio sembra essere addirittura rifiorito: si sono riscoperti gli antichi itinerari peregrinatori a piedi,  in particolare il suggestivo Cammino di Santiago, percorso ogni anno da migliaia di pellegrini provenienti da tutto il mondo o, più vicino a noi, il Cammino Francescano della Marca, che porta a visitare i luoghi più significativi della vita del Santo, ma anche i luoghi della sua predicazione itinerante, il cammino di San Tommaso verso Ortona, dove sono conservate le spoglie dell’ “Apostolo del dubbio” e ovviamente Loreto, che in questa geografia del pellegrinaggio e della fede occupa un posto particolarissimo. Nell’ultimo ventennio si sono susseguiti diversi progetti di rivalorizzazione dell’  antica via di pellegrinaggio, che hanno riportato i pellegrini contemporanei, come i loro predecessori medievali, a percorrere di nuovo a piedi la Via Lauretana, soprattutto nel tratto Assisi-Loreto ( ca.150 chilometri).
LORETO
Il pellegrinaggio a Loreto ha una data di nascita ben precisa, il 10 Dicembre del  1294, la data della “venuta” della Santa Casa di Nazareth, trasportata , secondo la tradizione, da Tersatto (in Dalmazia, oggi Croazia)  con un miracoloso volo angelico e venerata a Loreto. Si tratta di una parte del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth, come più volte gli studi storici ed archeologici, anche recenti, hanno confermato. Per i cristiani si tratta della “casa del sì” di Maria all’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele e del luogo dell’incarnazione del Verbo, dove Gesù è poi cresciuto e vissuto nel nascondimento fino all’inizio della sua vita pubblica, un luogo sacro per eccellenza. Il pellegrinaggio a Loreto, cominciato da subito, si è dapprima collocato come semplice tappa di passaggio all’interno del pellegrinaggio verso la Terra Santa o in quello micaelitico verso il santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano, mentre successivamente si è sviluppato come meta autonoma, soprattutto nei secoli d’oro del Cinquecento-Seicento, quando la Basilica-contenitore di una delle reliquie più preziose della cristianità è divenuta il santuario mariano più importante d’Italia, e forse d’Europa, ed uno dei più importanti al mondo. Uno sviluppo talmente consistente, soprattutto negli anni giubilari, da essere sottoposto già dal 1476 sotto la diretta dipendenza della Santa Sede e da spingere Papa Leone X nel 1514 a porre i pellegrini, durante la loro permanenza a Loreto, sotto l’esclusiva giurisdizione della Sede Apostolica ( una sorta di singolare “isola giuridica”), mentre la Basilica diveniva lo splendido  e prezioso scrigno d’arte,  che ancora oggi possiamo ammirare, grazie all’intervento dei maggiori artisti pontifici dell’epoca che vi stabilirono cantieri di lunga durata: Bramante, Sangallo, Sansovino, Lotto [ un’immagine su tutte lo straordinario rivestimento marmoreo che racchiude la Santa Casa, scolpito dal Sansovino e dalla sua scuola (1517-1537)].
Secondo una cronaca del Giubileo del 1625, nella sola mattinata della Festa dell’ 8 Settembre sarebbero entrate in basilica  circa 100000 persone. Non è difficile comprendere allora perché attorno al santuario e ai pellegrinaggi, o meglio generata da essi, è cresciuta anche la città, così come era accaduto già per Santiago. In breve dal santuario sorto su una pubblica strada in aperta campagna, alla sommità di un colle deserto ( il monte Prodo), si è strutturato, attraverso una “sedimentazione demica” per gradi e  tempi successivi, un piccolo borgo che è diventato l’imponente città murata che oggi vediamo, la “Felix Civitas Lauretana”, così come la vagheggiava Papa Sisto V che la elevò al grado di città  e di diocesi, volendone fare un esempio di città cristiana ideale, totalmente modellata attorno alla vita del suo Santuario. Un progetto ben incarnato dalla città nel corso di oltre sette secoli di pellegrinaggi, se si pensa che, al di là del complesso monumentale della basilica e del simulacro lì venerato, che hanno ispirato e ispirano tuttora nel mondo tante loro riproduzioni e rappresentazioni ( vi sarebbero oltre 4200 toponimi di ispirazione lauretana nel mondo, secondo un recente censimento), a fare di Loreto un sito unico nel suo genere ed universale insieme ha contribuito tutto il paesaggio storico-culturale-simbolico- del suo contesto  e che quest’ultimo, unito alla pietà popolare, continua a tramandarci ancora oggi, insieme al preziosissimo patrimonio artistico, un altro patrimonio di inestimabile valore, il patrimonio “immateriale” di Loreto.
I SEGNI DEL PELLEGRINAGGIO
I pellegrini lauretani, ma questo discorso si può ben riferire ad ogni pellegrino, singolarmente o in delegazione, semplici pellegrini o papi e sovrani, intraprendevano il pellegrinaggio per invocare il soccorso della Vergine di Loreto come protettrice e aiuto dei popoli, ma soprattutto come “liberatrice” dai tanti mali che potevano affliggerli: fisici, spirituali, calamità naturali o guerre ed anche la prigionia. In particolare Papa Gregorio XIII nel 1575 concesse alle Confraternite in pellegrinaggio di liberare due condannati a morte, seguendo l’antica tradizione dei pellegrinaggi penitenziali o giudiziali del Medioevo. “A volte si intraprendeva un lungo cammino, con tutti i rischi e le spese del caso, perché costretti da una sentenza del giudice o da una penitenza del confessore.”  Occorrendo comprovare lo svolgimento effettivo del pellegrinaggio, quest’ultimo veniva strutturato sia alla partenza col rilascio della credenziale, una “licenza” di pellegrinaggio rilasciata dalle autorità, che confermava lo status di pellegrino e ne sanciva l’importanza, quale frutto di una vera e propria investitura religiosa, che all’arrivo. Lo status di pellegrino obbligava chi lo deteneva, d’altro canto,  ad un comportamento irreprensibile, ma gli consentiva anche di accedere ai conventi, ospizi o alle altre strutture di accoglienza preparate appositamente lungo il percorso. Giunto finalmente alla meta, il pellegrino si vedeva consegnare il testimonium, l’attestato religioso che confermava l’avvenuto pellegrinaggio.
 Tale organizzazione permise di continuare la tradizione di protezione che fin dal Medioevo garantiva il pellegrino ( pena la scomunica per chi osava aggredirlo) e favorì lo sviluppo di insegne  e simboli che rendessero immediatamente riconoscibile, anche dal solo abbigliamento, un pellegrino rispetto ad ogni altro viaggiatore: generalmente un mantello con il simbolo della meta del pellegrinaggio: croce o palma per chi andava a Gerusalemme, conchiglia per chi andava a Santiago, le chiavi per chi andava a Roma.
Proprio a misura di pellegrini, lungo le arterie principali del pellegrinaggio cristiano, nelle principali città o negli snodi strategici  fiorivano numerosissime strutture di accoglienza, hospitales, ordini religiosi e confraternite atti a  gestirle. Basti pensare che nella sola Colfiorito, che rappresentava uno di questi punti strategici di confluenza dei vari percorsi peregrinatori lauretani  regionali e tappa obbligata di passaggio, vi erano ben tre ospizi: l’ospizio di S. Pietro, di S. Rocco e di S. Brizio.
L’ospitale per pellegrini di S. Pietro, attuale area del lavatoio e dove oggi sorge la casa di accoglienza, come dettagliatamente ci rendicontano gli studi di don Mario Sensi ,  era ubicato appena fuori dell’abitato, frutto dell’ opera di fra Ranuccio di Francesco di Foligno sul finire del secolo XIII e tenuto più tardi dai frati clareni, a testimonianza della predilezione dei Francescani  per il luogo, visto che poco distante avevano eretto anche l’eremo di Brogliano. Verso la metà del ‘600 fu eretto un altro ospitale per pellegrini infermi, che sulla facciata recava l’immagine di S. Brizio vescovo, in onore del suo fondatore o di un munifico benefattore, crollato poi nell’inverno del 1739-1740 e mai più ricostruito. Sempre Sensi ci spiega che per qualche anno furono presi per ospitale dei locali in affitto e intitolati a S. Rocco, ma nel 1760 già risultavano mancanti di tutto e dal 1807 non se ne ebbe ulteriore memoria. Erano innumerevoli anche le osterie disseminate lungo tutto il tratto della Via Lauretana proveniente da Foligno, per considerare soltanto questo. Una delle più importanti, a Ponte S. Lucia, dove “sorse una locanda e un raduno fieristico franco istituito da Corrado Trinci nel 1429” , proprio in funzione del pellegrinaggio lauretano, la cui festa al tempo si svolgeva l’8 Settembre.
Ad usufruirne non solo semplici pellegrini, ma anche personaggi famosi della cultura e del potere che, durante il loro pellegrinaggio a Loreto, da Roma o verso Roma, privilegiarono l’itinerario della Val di Chienti. Solo per limitarci ad alcuni esempi tra i tanti, menzioniamo: Michel Montaigne nel 1581, Torquato Tasso nel 1587, che fece poi una sosta a Macerata, Michelangelo da Caravaggio nel 1604, con una sosta a Tolentino, Cartesio nel 1624. Altri   transitarono per Camerino diretti a Loreto, come Giovanna d’Austria, granduchessa di Toscana nel 1573, Giovanni d’Austria nel 1575, Cristina di Svezia nel 1655, per non parlare, poi, dei numerosi  personaggi del Grand Tour che  percorsero la Via Lauretana nei sec. XVII-XIX. Il celebre avventuriero Giacomo Casanova nel 1750 passò anche lui per Serravalle e Colfiorito, come racconta dettagliatamente nelle sue “Memorie” e ben otto papi transitarono per la strada dove passa la Storia, come  l’appella significativamente Loreti : il primo, Nicolò II nel 1059, poi il pontefice Giulio II che fu ricevuto solennemente nel piano di Colfiorito, sotto Dignano, il 5 Settembre 1510, accolto alla sera a Beldiletto, il grande Paolo III Farnese nel 1539, Clemente VIII nell’Aprile 1598, che, come ci documenta Don Mario Sensi, di ritorno da Ferrara, desinò in Colfiorito, nell’aia di Piersanti con grandissimo apparecchio, Pio VI, proveniente da Roma verso Vienna il 1 Marzo 1782, Pio VII diretto a Roma per prendere possesso della Sede Apostolica, nel 1841 Gregorio XVI e il papa marchigiano Pio IX, diretto a Camerino. Moltissimi anche i cardinali, tra cui ricordiamo soltanto il camerinese Card. Pierbenedetti nel 1594, il quale fu ricevuto solennemente a Colfiorito. A questi possiamo aggiungere anche i papi più recenti: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Testimoni silenziosi dell’importanza della Via Lauretana per il nostro territorio, eppure ancora “parlanti”, restano da secoli anche i tantissimi esempi dell’iconografia lauretana disseminati lungo i percorsi del pellegrinaggio. L’iconografia poteva seguire il modello più antico che rappresentava la Vergine col bambino sotto ad un’edicola, la rappresentazione del volo angelico della Santa Casa, che si affermerà a partire dal 1476, dove la Madonna appare rappresentata sul colmo del tetto, trasportata da due o più angeli, o infine quella del simulacro venerato all’interno del Santuario di Loreto . Ancora una volta non possiamo che fare  debito riferimento a don Mario Sensi, che cita in località Pie’ di Cammoro, lungo il tracciato più antico della Via Lauretana “un albergo del XVI sec. con incorporata una cappella lauretana, dipinta nel 1515 da Paolo Bontulli da Percanestro e una serie di graffiti lasciati dai pellegrini del sec. XVI”  Ma gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli, a partire dal più antico, una cappella eretta in onore della Madonna di Loreto a Foligno nel 1404, nella chiesa di S. Pietro de Pusterula, e poi, sempre a Foligno, ancora repliche dell’iconografia lauretana a S. Domenico, S. Caterina, S. Maria Infraportas, Palazzo Deli. Le icone della Madonna lauretana si ritrovano anche a Vescia all’esterno di un’abitazione privata, nel santuario della Madonna delle Grazie di Rasiglia, dove nella seconda metà del Quattrocento furono dipinte due immagini, ed ovviamente a Colfiorito dove, ad accogliere i pellegrini che vi facevano tappa, quando non celebravano messa lungo il cammino, utilizzando altari  smontabili “da viaggio”, essi trovavano un altare dedicato alla Madonna di Loreto nella Chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta, come narra il pievano del tempo, Domenico Dominici, in un inventario redatto il 2 Luglio 1727.
EPILOGO
Per tutto questo, ed altro ancora, Loreto e la sua antica via di pellegrinaggio, “la Via Lauretana”,  rappresentano la grande Storia, ma anche la storia dei pellegrini che ci hanno preceduto, un’ autentica sintesi culturale e spirituale del loro mondo, della loro visione della vita, delle loro aspirazioni profondamente religiose, delle loro esigenze pratiche... Un mondo passato, che perdura sotto forma di antiche parole, segni, tradizioni e un patrimonio inestimabile il cui testimone le precedenti generazioni sembrano passare simbolicamente alle nuove per aiutarle a comprendere meglio se stesse, la loro storia ed il loro territorio, per radicarsi in essi e da essi attingere forza, senso di appartenenza ed identità futura.

 

M. Sensi, Plestia si racconta. Dalla fiera alla “Sagra della patata rossa, in Quaderni della “Sagra della patata rossa” n°2, Colfiorito, 1998.
M. Sensi, a cura di, Grande Giubileo del 2000. Itinerari giubilari di Foligno, Diocesi di Foligno, 1999, pp. 60-61.
A.A.V.V., Il convento di Recanavata e l’antica via romano-lauretana, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, Ancona, 2016.
F. Bettoni, Il tratto umbro della Strada Statale “Val di Chienti”. Cenni storici., in «Bollettino storico della città di Foligno», Foligno 1993,17: 223-232.
Bonomi Ponzi, Gruppo di asce a margini rialzati provenienti dalla zona di Colfiorito di Foligno(Perugia), in«Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli studi di Perugia »,1. Studi classici, vol. XX,n.s. VI 1982/1983, pp. 161-173.( Risalgono al ca. 1700-1500 a.C.)
F.Loreti, La storia passa per Serravalle, tratto dal sito ufficiale del Comune di Serravalle del Chienti, in Serravalle di Chienti-I quaderni dell’Appennino Camerte.
P. Giulietti-C. Serenelli, La Via Lauretana. A piedi da Assisi a Loreto.Terre di Mezzo Editore, Milano, (2015), pp. 15 e.140. “ Già nel 1315 è attestata la venerazione, all’interno della Santa Casa, di un’immagine-oggi perduta- della Madonna con il bambino Gesù,[…] attribuita alla mano di San Luca. […] Dalla fine del Quattrocento si inizia a rivestire la statua di una “dalmatica”: un drappo prezioso, che copre interamente il corpo del Bambino e quello della Vergine; su di essa vengono anche appesi i doni votivi” in oro e argento.
G. Schmiedt, Il contributo della foto-interpretazione alla conoscenza della rete stradale dell’Umbria nell’Alto Medioevo, in Aspetti dell’Umbria dall’inizio del secolo VIII alla fine del secolo XI, Atti del III Convegno di studi umbri (Gubbio, 23-27 maggio 1965), Perugia 1966, pp. 187-191, 193-194, tavv.VIII-X.
M. Sensi, Plestia si racconta. Dalla” fiera” alla “Sagra della patata rossa”, in Quaderni della “Sagra della patata rossa” n°2, Colfiorito, 1998, pp.17-19.
M.Sensi, a cura di, Grande Giubileo del 2000. Itinerari giubilari di Foligno, Diocesi di Foligno, 1999, pp.61 e 64.