IL COLLETTORE ROMANO
Il sisma del 1997 ha ostruito la Botte dei Varano e i lavori svolti per ripristinare il condotto hanno portato alla luce un'opera risalente al periodo repubblicano e funzionante fino al tardo impero. Si tratta di un condotto del I secolo a.C., lungo circa un chilometro che corre 2,5 m sotto il livello del suolo con l'imbocco nella parte nord-orientale dell'altopiano e lo sbocco nella parte iniziale del fiume Chienti, parallelamente alla Botte dei Varano.

I primi tentativi di bonifica della palude risalgono al periodo di Augusto nel I secolo a.C. realizzati con un sistema di canalizzazione a raggiera di cui il condotto è un esempio. Il percorso non è dritto, ha un andamento a "s" per far scorrere più dolcemente l’acqua; la galleria è costruita con blocchi di travertino provenienti da una cava del monte Prefoglio e disposti a secco, poiché era stato calcolato che lo scorrimento delle acque avrebbe favorito la saldatura dei blocchi tra di loro.

Questo condotto è caduto in disuso dal IV secolo d.C., probabilmente a causa di un terremoto che ne provocò il crollo. La costruzione dell'opera è collegata allo sviluppo della città romana di Plestia, realizzata con la stessa pietra del condotto e quindi in periodo augusteo o poco dopo, quando il lacus plestinus fu prosciugato sia per favorire lo sfruttamento agricolo del suolo sia la nascita di nuove vie di comunicazione.

S’ipotizza che un terremoto abbia provocato alcuni danni all'opera, con successivo impaludamento dell'area in un periodo tra il VII e l'VIII secolo d.C. La leggenda degli apostoli Pietro e Paolo, infatti, spiega la distruzione di Plestia e l'allagamento del piano, come una vendetta divina nei confronti degli abitanti del luogo che cacciarono in malo modo i due apostoli. Si narra, infatti, che i due si rifugiarono sul monte Trella, ma la notte furono svegliati dal boato di un terremoto e trovarono la città rasa al suolo.

IL CONDOTTO ROMANO E I SUOI OSPITI: I PIPISTRELLI
Grazie all’analisi al computer degli ultrasuoni registrati con il bat detector, si sono potute riconoscere diverse specie di pipistrelli presenti nell’area circostante il condotto e che svernano all’interno di esso: il ferro di cavallo mediterraneo (Rhinolophus euryale), il pipistrello albolimbato (Pipistrellus Kuhlii), il pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus), il Pipistrello di Savi (Hypsugo savii) e alcuni vespertili (Myotis). I pipistrelli sono protetti dalla legge ed è vietato disturbarli ed ucciderli. All’interno dei loro rifugi, si consiglia di usare torce con luce fioca per lasciarli dormire in tranquillità.


LA BOTTE DEI VARANO
Fu costruita parallelamente al precedente collettore romano e rappresenta un esempio di alta ingegneria idraulica dell’epoca medievale. Fu fatta scavare da Giulio Cesare Varano, duca di Camerino, su un progetto d’ingegneri idraulici fiorentini, con lo scopo di bonificare l'altopiano di Colfiorito, scaricando le acque nel fiume Chienti. I lavori durarono dal 1458 al 1464.Le coltivazioni di canapa, ortaggi e soprattutto cipolle durarono, però, per poco tempo.

La Botte dei Varano deve il suo nome alla forma del condotto che ricorda l’interno di una botte. La Botte è citata nel trattato di Mengozzi del 1781 in cui è descritta come "il meraviglioso sotterraneo condotto ... capace di due carrozze all'imboccatura e in alcuni siti più di venti uomini profondo con una direzione tortuosa ed obliqua e una magnificenza che meritamente può dirsi Regis opus, cioè opera regale”.

Fino al 1997 si pensava che l’altopiano fosse stato bonificato dai Varano di Camerino; infatti, nel 1438 Giulio Cesare da Varano si vantava di essere stato il primo ad aver prosciugato quel territorio. In realtà i Varano erano a conoscenza dell’esistenza del collettore romano che in quel periodo non era più funzionante ma riutilizzato come cisterna. Così costruirono la botte collegandola all’antico condotto, attraverso alcune aperture laterali.

Nel 1600 si riformò la palude; si pensò allora di costruire un inghiottitoio per contribuire ulteriormente alla bonifica del territorio. Un mulino ad acqua, “Il Mulinaccio”, sfruttava questo flusso d’acqua. Ha funzionato fino al 1917.

 

dal materiale della mostra sul Molinaccio allestita al Museo Naturalistico di Colfiorito

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